Come valutare una startup – Guida pratica e suggerimenti

Pubblicato sul sito internet di b2Corporate in settembre 2018

1.1  – Premessa

L ‘argomento della valutazione delle aziende start up rappresenta, nel panorama tecnico – professionale italiano, una specie di terra di nessuno nella quale né la professione, né il mondo universitario si sono cimentati in modo sistematico. Scarse sono le pubblicazioni specialistiche sull’argomento in lingua italiana. Appare un territorio in cui predomina il pragmatismo degli operatori del settore (business angel, incubatori azienda, venture capitalist, etc), i quali dovendo investire in attività di start up, sono costretti, pur con tutte le incertezze del caso, ad assegnare una valutazione all’investimento da effettuare.

Vero è che le start up sono una fattispecie tutta particolare di azienda, con caratteristiche sue proprie che la rendono inadatta all’applicazione, “sic et simpliciter” dei metodi tradizionali di valutazione d’azienda, ma come si vedrà nel seguito, con gli opportuni adattamenti, alcuni di questi metodi risultano applicabili. Inoltre i metodi specifici dedicati alle start up sono tutti di derivazione del mondo anglosassone, in assenza di pubblicazioni specialistiche italiane.

Per affrontare in modo sistematico l’argomento, ci sono alcuni aspetti che preliminarmente occorre sviluppare e tenere ben presenti, aspetti che condizionano in modo significativo l’approccio valutativo da adottare per una azienda in fase di start up.

Un primo aspetto da mettere in evidenza è che non tutte le start up sono uguali, nel senso che le loro caratteristiche variano in modo significativo nelle diverse fasi della loro vita, fasi il cui sviluppo influenza molti aspetti della loro vita: le priorità assegnabili, le necessità di finanziamento, il percorso da sviluppare, gli attori coinvolti; di  conseguenza l’approccio valutativo può variare anch’esso in modo significativo da una fase all’altra

Un secondo aspetto riguarda la stretta relazione fra l’aspetto valutativo e il finanziamento della start up, spesso con la connessa partecipazione al capitale dell’impresa, soprattutto nelle prime fasi di vita. Nelle prime fasi di vita infatti chi valuta è ,nella maggior parte dei casi, anche l’investitore: la posta in gioco è quindi stabilire la quota di partecipazione all’iniziativa che spetta all’investitore in funzione dell’entità del finanziamento da erogare. Nelle prime fasi di vita predomina infatti il finanziamento con partecipazione al capitale, rispetto al finanziamento puro e semplice. L’investitore deve credere all’iniziativa e molto spesso diventa quindi anche imprenditore, per condividere con gli promotori-promotori sia a rischi che i benefici relativi.

Un terzo fattore riguarda la generalizzata carenza di dati storici sull’azienda e il suo business e la conseguente difficoltà nel formulare previsioni future di qualunque genere. I business plan che vengono preparati, anche quelli meglio predisposti, mancano tutti di una reale fattibilità dell’iniziativa sul concreto terreno di gioco. In altri termini, soprattutto nelle prime fasi di vita di una start up, la storia della fattibilità dell’iniziativa è ancora tutta da verificare: fattori organizzativi, di marketing, di prodotto, (l’elenco non è esaustivo) non previsti possono vanificare lo sviluppo e la stessa riuscita dell’impresa

Quarto fattore è il rischio, sempre elevato in qualunque iniziativa. La percentuale di start up che non superano le fasi iniziali è infatti elevata, mediamente superiore al 70 – 80%. Le ragioni del possibile fallimento dell’iniziativa sono molteplici e si possono manifestare in qualunque momento nelle fasi iniziali. L’ingresso di un investitore, nel capitale di rischio in una start up, richiede quindi molta competenza, esperienza e una buona dose di “fiuto”, il rischio può essere soggetto comunque ad uno o più fattori imponderabili, non sempre individuabili preventivamente a tavolino.

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