Aprirsi a nuove esperienze. Non rifugiarsi nella propria zona di sicurezza (confort zone)

Angelo Fiori – Luglio 2014

 

La Zona di sicurezza (Comfort Zone) nella psicologia comportamentale è una condizione mentale di sicurezza, dove tutto è rassicurante, noto, dove ci muoviamo a nostro agio, senza grandi sorprese. La metafora più comune è quella della poltrona in cui siamo comodamente seduti senza muoverci. Teniamo presente che la maggior parte degli esseri umani tende ad evitare le situazioni scomode che li mettono in discussione e a fuggire da tutto ciò che è eccessivamente nuovo. In queste situazioni infatti diminuisce la possibilità di tenere sotto controllo e dominare gli eventi: il rischio conseguente è di commettere errori, a volte di essere feriti o peggio umiliati

La confort zone fu indicata da Alasdair Whyte nel 2008, con un saggio dal titolo “From confort zone to performance management”. In questo saggio si indagano le possibilità che vengono alla luce uscendo dalla confort zone e il processo di apprendimento insito in questo percorso. Quindi la zona di conforto non viene negata, ma viene considerata un punto di partenza dal quale muoversi, al fine di aumentare le proprie capacità e conseguentemente le proprie performance. Bisogna infatti uscire dalla propria zona di sicurezza per cercare nuove esperienze, mettersi in gioco con nuove persone, ambienti, abitudini

Qui l’argomento viene sviluppato principalmente nel contesto della vita lavorativa, ma molte delle considerazioni svolte e dei suggerimenti indicati valgono anche in altre situazioni, ad esempio: nelle situazioni famigliari o più in generale nei rapporti umani.

Si precisa che la metafora della confort zone vale per gli individui, ma anche per i gruppi e le organizzazioni in genere. Inoltre si precisa che per alcune categorie, quali professionisti, manager, imprenditori “non adagiarsi nella zona di sicurezza” costituisce un obbligo per la sopravvivenza nella propria professione, soggetta a sfide e a cambiamenti continui e sempre più rapidi

Il comportamento da evitare è quindi di considerare la zona di sicurezza quale punto di arrivo, traguardo, l’equilibrio di lungo periodo. In questi casi essa diventa una specie di cuccia mentale o peggio ancora una trappola vera e propria, che ci impedisce di avere una visione corretta del mondo che ci circonda. Teniamo anche presente che la cuccia mentale da un lato conferisce sicurezza, ma crea spesso noia e senso di insoddisfazione e frustrazione.

Il problema di fondo è quanto osare nell’uscire dalla propria zona di sicurezza, cioè fino a che punto è consigliabile spingerci nel percorrere nuove esperienze, conoscere nuovi mondi, saggiare le nostre capacità in nuovi contesti.  Non esiste una risposta univoca e preconfezionata alla domanda, valida per tutti noi, ma è possibile esporre qualche suggerimento per orientarsi correttamente.

  • Bisogna necessariamente partire dalla nostra personalità, infatti non siamo tutti uguali nel valutare e considerare nella nostra vita i seguenti fattori: il fattore rischio, la propensione a mettersi in gioco, la capacità di reazione alle sconfitte, la determinazione e la costanza nel perseguire gli obiettivi. E’ pertanto necessario effettuare per prima cosa un sereno e maturo esame di coscienza, senza crearsi false illusioni, ma anche senza essere troppo autocritici
  • La base di partenza della nostra individualità e soggettività non deve tuttavia essere una gabbia che ci frena e ci frustra mentalmente. Evitare quindi atteggiamenti quali: sono fatto così e non c’è nulle da fare. Abbiamo il dovere di migliorare e di osare, ma la capacità di reazione e la velocità di cambiamento, sono anche in funzione di come siamo, quindi varia da uno all’altro. Teniamo comunque presente che ciascuno di noi ha la capacità, e aggiungo anche il dovere, di cambiare e di osare. Se posso usare una metafora: “Bisogna tenere la testa alta per avere una più corretta visuale di quanto ci circonda ed un piede sempre fuori dal proprio orto”.
  • Bisogna inoltre considerare sia le nostre esperienze passate che ci hanno forgiato e in una certa misura ci condizionano, sia la condizione e il contesto nel quale siamo oggi situati. Per fare qualche esempio. L’approccio di un giovane alle prime armi nel proprio percorso professionale è diverso da quello di un cinquantenne che ha perso il posto di lavoro e si deve reinventare una professione, la situazione famigliare ha la sua importanza, che è single valuta le decisioni da prendere in modo diverso da chi ha moglie figli, la situazione economica e sociale in cui siamo inseriti gioca la sua parte, in una economia brillante e in crescita sono spinto ad osare di più che non in una economia depressa e stagnante
  • Bisogna anche essere capaci non solo di accettare le sconfitte, che capitano prima o poi a tutti noi, ma di utilizzarle in un continuo processo di apprendimento. Se dice che si impara anche dagli errori: nulla di più vero, bisogna però avere l’atteggiamento giusto nel considerarli e valutarli
  • Uscire dalla zona di confort è anche una scelta che si compie ogni giorno, anche solo relativamente alle piccole abitudini che compongono la quotidianità e che potrebbero essere semplicemente modificate, qualche esempio:
    • fare una strada diversa per andare al lavoro,
    • sederti di fianco a una persona sul tram invece che isolarti nella tranquillità dell’ultima fila;
    • chiedere di lavorare in un gruppo con i compagni di sempre invece che provare a confrontarti con il collega che fa sentire a disagio, e così via.

Concludo con un’immagine

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Per chi vuole approfondire

Alasdair Whyte – From confort zone to performance management – 2008.