Le lobby in Italia. Mancanza di legislazione o mancanza di cultura?

Angelo Fiori – Novembre 2014 Articolo pubblicato il 24 novembre 2014 su Filodiritto   L’attività di lobby  viene identificata e definita come l’attività di gruppi organizzati volta ad influenzare il processo di formazione delle leggi e, più in generale, le decisioni pubbliche. Prendo spunto da un recente approfondito studio di Trasparency Italia “Lobbying e democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia” per svolgere qualche considerazione sulla situazione delle Lobby in Italia. Nonostante siano state presentate, dal dopoguerra in poi, decine di proposte di legge per disciplinare le Lobby, in Italia non esiste una legge nazionale che regolamenti, in modo specifico, la rappresentanza degli interessi attraverso il “lobbismo”. Non solo, ma sono pochissime le proposte di legge che sono state effettivamente discusse all’interno delle Commissioni parlamentari e/o nelle Camere. Conseguentemente non risulta che siano mai state, non solo approvate, ma neppure discusse in modo articolato proposte di legge in proposito. L’altro fronte di attività da promuovere, oltre all’attività legislativa, al fine di  facilitare la regolamentazione delle Lobby, è costituito da codici di autoregolamentazione e/o codici etici, da parte dei lobbisti stessi, associazioni di categoria, associazioni professionali, rappresentanti del mondo degli affari. Questi codici dovrebbero redatti e adottati con estremo senso pratico, senza formalismi ridondanti. Anche sotto questo aspetto l’Italia non brilla per le iniziative intraprese, che sono scarse o nulle In Italia fino ad oggi l’attività di lobbying è sempre stata un’attività fantasma. Tutti sanno che esiste, ma risulta molto difficile, se non impossibile, definire con precisione chi svolge quest’attività, nei confronti di chi, con quali mezzi e con quali obiettivi. In mancanza di una regolamentazione, di fronte a un’attività quasi completamente segreta, l’attività di lobby viene assimilata, nell’immaginario collettivo in Italia, ad una grande fucina della corruzione. I vari attori in gioco: politici, mondo accademico, la stessa società civile, non hanno voluto e/ o saputo inserirsi nel dialogo della regolamentazione e di indirizzare di conseguenza il dibattito pubblico al fine di rendere l’attività di lobby trasparente e quindi indebolire l’immagine e i pregiudizi esistenti Al contrario uno dei presupposti base per lo svolgimento dell’attività di lobby è la trasparenza. Nei paesi a democrazia avanzata, USA e UK ad esempio, l’attività di lobby è pubblicamente riconosciuta e adeguatamente regolamentata. La mancanza di legislazione nazionale in materia è anche figlia di una nostra cultura del clientelismo, che mal si concilia con la trasparenza richiesta per portare l’attività di lobby alla luce del...
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Warrant e sistemi di incentivazione del management

Angelo Fiori – Novembre 2014 Articolo pubblicato da MySolutionPost, in due puntate, in Dicembre 2014   Parte prima Le opzioni (warrant) –Concetti generali Vengono svolte di seguito alcune considerazioni sulle opzioni (o warrant) come strumento utilizzabile per i piani di incentivazione del management. Tale strumento è stato utilizzato negli ultimi anni prevalentemente in ambito bancario, con una diffusione tuttavia limitata rispetto alle loro potenzialità. Lo strumento ben si adatta, come vedremo a completare e integrare sistemi di remunerazione sulla base del paradigma MBO (Management By Objective), legando gli obiettivi alle performance aziendali. Lo strumento consente inoltre di fidelizzare i manager nel medio periodo Non viene sviluppata una trattazione delle opzioni come strumento a disposizione del risparmiatore per la composizione del proprio portafoglio, quindi non si indagano tutte le sue caratteristiche in funzione dello scopo di investimento. In questi casi trattasi prevalentemente di opzioni su titoli quotati, quindi liberamente negoziabili sui mercati borsistici. Al contrario, come vedremo le opzioni a supporto dei piani di incentivazione del management contengono quasi sempre limitazioni alla loro circolazione e sono nella maggior parte dei casi su azioni o quote societarie di aziende non quotate Si forniscono in ogni caso di seguito alcuni concetti generali sulle opzioni, che è necessario conoscere. Esse sono diritti il cui valore dipende da un’attività finanziaria sottostante: titoli azionari, indici borsistici, futures, valute, etc, alla quale è riferito il diritto di opzione. Essi attribuiscono al possessore il diritto di acquistare (tipo call) o di vendere (tipo put), una determinata attività sottostante ad un data prefissata (opzione di tipo europeo), ovvero entro una data prefissata (opzione di tipo americano). Il prezzo pagato per l’acquisto della opzione, qualora presente, viene chiamato premio. Le opzioni utilizzate in Italia sono prevalentemente di tipo call europeo L’opzione è pertanto un diritto il cui valore è conseguente alla performance, attuale e attesa, del sottostante. Se viene utilizzata ai fini di un piano di incentivazione del management, il manager trova evidentemente il proprio guadagno dall’aumento del valore del sottostante, cui l’opzione è collegata. Come detto il sottostante normalmente costituito da un’azione, ma può anche una quota di una srl, un indice azionario, una valuta, un parametro di performance aziendale, etc Se l’opzione viene conferita a determinati managers, essa non costituisce offerta al pubblico; pertanto non si applicano i presupposti degli strumenti finanziari disciplinati dal D.Lgs. 24 febbraio 1998 num. 58 Le opzioni a volte sono definite da...
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La corruzione in Italia e nel mondo – Trasparency International

Angelo Fiori – Settembre 2014   Partiamo da una promessa. La corruzione costa all’economia, essa infatti funge da freno agli investimenti e incide negativamente sul PIL. La corruzione, abbinata alla criminalità organizzata, provoca infatti un cd deficit di reputazione, che allontana gli investimenti, soprattutto stranieri Come più volte rimarcato dalla Banca Mondiale, se la corruzione fosse efficacemente aggredita porterebbe a un aumento del reddito stimato superiore al 2,4% con effetti benefici anche sulle imprese che crescerebbero del 3% annuo in più. Ancora più netta Transparency International, secondo cui ogni grado di aumento del livello della corruzione riduce di circa il 16% gli investimenti stranieri diretti. Al fine di monitorare in qualche modo il fenomeno della corruzione nel mondo, esiste Trasparency International, organizzazione internazionale senza fine di lucro, fondata nel maggio del 1993 a Berlino, dove attualmente si trova la sede centrale, su iniziativa di Peter Eigen, direttore di una sezione della Banca Mondiale A partire dal 1995 Trasparency International ha sviluppato l’Indice di corruzione – Corruption Perception Index (CPI), una lista comparativa della corruzione in oltre 170 paesi del mondo, che viene aggiornata e pubblicata ogni anno verso il mese di dicembre. Il CPI classifica le nazioni con il maggior indice di corruzione basando i propri dati su interviste fatte a imprenditori e operatori economici in genere. Il CPI prevede un punteggio da zero (corruzione massima) a 100 (corruzione nulla), classificando ciascuna delle nazioni incluse nell’indice. Nell’ultimo CPI disponibile, quello del 2013, la Danimarca la Nuova Zelanda sono al 1° posto, a pari punteggio, con 91 punti, mentre Afghanistan , Somalia e Korea del nord sono in coda con un punteggio di 9. Dov’è situata l’Italia? Purtroppo solamente al 69° posto con un punteggio di 43, circondata da Brasile, Giordania, Arabia Saudita, Romania. La classifica completa dell’indice CPI 2013 la trovate qui. Se volete esaminare il Global corruption barometer 2013 con metodologie, commenti, etc in formato pdf, lo trovate qui I dati si basano su un sistema di rilevazioni attraverso interviste, che quantificano la percezione del fenomeno corruzione da parte degli intervistati. La corruzione è infatti chiaramente un fenomeno illegale e sotterraneo, non esistono pertanto possibilità di rilevazione oggettiva; i casi rilevati, che transitano dai tribunali, sono un percentuale minima del fenomeno. Pur con le precauzioni del caso, gli indici di Trasparency International, che ha sviluppato un’esperienza pluridecennale nel monitorare il fenomeno nel mondo, possono essere presi come ordini di grandezza e di confronto fra...
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Essere assertivi

Angelo Fiori – Ottobre 2014   L’assertività, ovvero l’essere assertivi, è una importante capacità, fra quelle di tipo relazionale, che un individuo dovrebbe possedere. Nell’ambito lavorativo, ma anche nella vita più in generale, l’assertività dovrebbe far parte del bagaglio di ciascuno di noi. Essa fa parte della più generale categoria di qualità che possiamo racchiudere nella cd intelligenza emotiva Il comportamento assertivo è quel comportamento attraverso il quale si affermano i propri punti di vista, senza forzare o approfittare e, al contrario, senza subire o essere prevaricati. Si esprime attraverso la capacità di utilizzare in ogni contesto relazionale la modalità di comunicazione più adeguata. Con essa viene adottato uno stile, nel comunicare con gli altri, che permette all’individuo di esprimere le proprie opinioni, le proprie emozioni e di impegnarsi a risolvere in modo pacato e con un atteggiamento positivo le situazioni e i problemi che bisogna affrontare. Si capisce pertanto come questa qualità o competenza sia di fondamentale importanza per un professionista nello svolgimento della propria attività Si precisa preliminarmente che non esiste una risposta assertiva definibile in modo assoluto e valida in ogni contesto e in ogni momento. Essa deve essere valutata all’interno della situazione sociale e relazionale: è quindi un processo continuo di aggiustamento della propria prestazione comunicativa. Per migliorare la propria assertività occorre sviluppare nuove abitudini di comportamento e perfezionare l’educazione dei sentimenti e delle emozioni. Familiarizzarsi con il mondo dei sentimenti richiede, infatti, “un’educazione sentimentale”. La struttura concettuale dell’assertività è l’ordine che ciascuno pone nella propria vita, quando con maggiore consapevolezza pensa a se stesso e interagisce con le altre persone. Se vogliamo sezionare le componenti del comportamento assertivo, potremmo dire che esse è composto di 2 parti. La prima parte è costituita dalla libertà come capacità dell’individuo di liberarsi dai condizionamenti ambientali negativi e comprende: (a) la conoscenza di sé e della propria personalità, (b) l’idea della reciprocità, ovvero il diritto di comunicare desideri e convinzioni, e di perseguire obiettivi individuali, viene riconosciuto anche agli altri La seconda parte riguarda la capacità di esprimersi in modo più evoluto ed efficace, tradotta quindi in abilità non verbali e verbali, e, più in generale, in competenza sociale. Tale aspetto è stato definito da L. Philips (1968) come “l’ampiezza con cui l’individuo riesce a comunicare con gli altri, in modo da soddisfare diritti, esigenze, motivazioni e obblighi, in misura ragionevole e senza pregiudicare gli analoghi diritti delle...
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Esame e analisi critica di un business plan

Angelo Fiori – Settembre 2014 Articolo pubblicato su MySolution Fisco&Società il 24 Ottobre 2014   Premessa Di seguito ci poniamo nell’ottica non di chi redige un business plan, ma di chi lo esamina e lo deve valutare. Spesso infatti nella pratica professionale dobbiamo esaminare un business plan che ci viene sottoposto. Nella nostra professione di commercialisti siamo abituati ad esercitare un’analisi critica sui bilanci aziendali che ci vengono sottoposti, perché sappiamo per esperienza che le relative grandezze numeriche vanno opportunamente interpretate. Con lo stesso approccio dobbiamo procedere quando ci viene presentato un business plan. Non a caso Borsa italiana, nel definire il business plan (piano industriale), ha posto come sottotitolo: “Le intenzioni del management”. Questo articolo ci aiuta a trovare la corretta chiave di lettura e approfondimento di un business plan Per effettuare una verifica approfondita di un business plan, come di un bilancio di esercizio, è naturalmente necessario effettuare una vera e propria due diligence, cioè una specifica procedura di analisi che prevede un completo accesso ai dati del business plan medesimo. Si ritiene tuttavia utile di seguito indicare i passi da svolgere per la analisi critica di un business plan, utili anche quando l’accesso ai dati è limitato o incompleto. Nel suo significato più ampio il Business plan è un documento che ha l’obiettivo di rappresentare progetti di sviluppo imprenditoriale in un’ottica prospettica. E’ volto quindi a raffigurare e documentare la fattibilità di un progetto, avendo presente sia il contesto in cui l’azienda opera sia gli aspetti organizzativi e di governance interni all’azienda. A volte viene anche chiamato piano industriale, i due termini business plan e piano industriale sono di fatto, nella maggior parte dei casi, intercambiabili. Il Business plan  viene quindi sviluppato: (a) per simulare la nascita di un nuovo business; (b) per verificare il suo evolversi; (c) per misurare il raggiungimento di determinati obiettivi L’arco temporale di sviluppo delle ipotesi può variare da 3-5 anni fino a 7-10 anni. Esso viene redatto nei contesti e ai fini più diversi. Di seguito citiamone alcuni. Documento a supporto di operazioni straordinarie d’impresa, ad esempio: fusioni, cessioni, scorpori, acquisizioni Business plan per lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali, le cd start-up Documento che accompagna importanti operazioni di finanziamento, sia con richiesta di capitale proprio che con capitale di terzi Business plan per operazioni di quotazione su mercati regolamentati (IPO) Costituisce parte componente della documentazione richiesta dalle società di...
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